Albino Galvano (Torino, 1907 – 1990)
Composizione astratta, datata 1960
Tecnica mista su carta telata, firmato e datato in basso a sinistra Galvano ’60
95 × 110 cm
Cornice in alluminio coeva
La musica della linea e delle macchie dense, il vuoto, la casualità del gesto, il ritmo e la velocità… tutto concorre a formare una superficie che, anche senza parole, comunica emozioni e pensieri attraverso il linguaggio informale. Segni e tracce, solo in apparenza illogici, trovano qui un equilibrio interno che li trasforma in un’immagine evocativa e compiuta. Non tutte le opere di Albino Galvano – grande protagonista e “statista” della scena delle avanguardie torinesi, pittore e pensatore – hanno la stessa intensità. Questo dipinto invece custodisce un’anima e un’idea profonda: un lavoro fuori dal comune.
Formatosi a Torino come allievo di Felice Casorati tra il 1928 e il 1931, Galvano si laureò in filosofia, mantenendo sempre un doppio binario tra riflessione teorica e pratica artistica. Negli anni Cinquanta fu tra i protagonisti del MAC – Movimento Arte Concreta, a fianco di figure come Bruno Munari, Gillo Dorfles e Atanasio Soldati, assumendo a Torino il ruolo di “teorico” del concretismo.
A partire dalla fine degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, il suo linguaggio si orientò verso un’astrazione lirico-segnica, in dialogo con l’Art Informel francese e con l’Espressionismo astratto americano. In opere come questa si riconosce una forza vicina a Hartung o Mathieu, ma filtrata da una sensibilità più intima, legata al suo duplice ruolo di filosofo e critico.
Torino, in quel periodo, fu un centro particolarmente vivo per le ricerche astratte: Galvano operò accanto a figure come Pinot Gallizio, Michel Tapié e Gianni Bertini, ed ebbe contatti con il Gruppo dei Sei. Pur senza aderirvi formalmente, rimase vicino a quell’ambiente, mantenendo sempre una posizione autonoma.
Stato di conservazione: buono, con segni del tempo compatibili con l’epoca.