Crocifisso
Avorio e lapislazzuli, cm 28x16
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Il lapislazzuli (o lapislazzulo) è una delle pietre preziose conosciute sin dall'età antica. L’etimologia del nome deriva dal latino lapis, "pietra" e dal latino medievale lazulum, "azzurro". Il primo utilizzo di questa gemma risale al V millennio a.C., al tempo in cui fu molto usata, ad esempio, per la fabbricazione dei gioielli trovati nelle tombe faraoniche in Egitto.
I pittori con il lapislazzuli ottenevano, attraverso la macinazione e altri procedimenti, il più pregiato colore blu per gli affreschi medievali: la tonalità era intensa ed estremamente resistente nel tempo. Il costo di questa materia prima era paragonabile a quello dell'oro, se si pensa che le uniche miniere conosciute erano in Afghanistan. La ricchezza del materiale aveva anche un significato devozionale: nell'arte sacra ritrarre la divinità con materiali preziosi era una sorta di offerta che si faceva nei suoi confronti.
Anche nell'epoca Babilonese questo materiale veniva particolarmente usato. Si può riscontrare infatti l'utilizzo del lapislazzuli nella famosa Porta di Ishtar che fungeva da ingresso principale alla grande città di Babilonia.
Nell'età moderna, famose sono le coppe e i vasi in lapislazzuli che appartennero ai Medici. Michelangelo ne fece uso abbondantemente per affrescare sia la Cappella Sistina (in particolare nel Giudizio universale) sia la Cappella Paolina (Conversione di Saulo e Crocifissione di san Pietro). A Roma nella Chiesa del Gesù, alla sommità dell'altare di Sant'Ignazio di Loyola, si trova una grande sfera di lapislazzuli (il più grande blocco che si conosca).
È proprio al forte gradiente simbolico del lapislazzuli che fa riferimento l’autore di questo crocifisso seicentesco, che abbina il materiale ad un altro elemento estremamente raro e di grande preziosità, l’avorio, che qui risulta finemente intagliato.