Scuola fiamminga, fine XVI secolo
Cristo portacroce
Olio su rame, cm 24 x 19
Con cornice, cm 36 x 30
L’immagine di questo Cristo portacroce obbedisce a una soluzione devozionale di matrice nordica e diffusa in particolare in area veneta, dove ne danno esempi sublimi, entro il primo decennio del Cinquecento, sia Giovanni Bellini, sia Giorgione. Infatti, il taglio della figura di Cristo, ripreso solamente nella parte superiore, la torsione del volto, la croce portata in spalla e peraltro ripresa anch’essa solo parzialmente, l’espressione supplichevole dello sguardo si riallaccia all’iconografia di questo soggetto utilizzata dai pittori veneti ma anche da altri artisti manieristi italiani, come il fiorentino Francesco Salviati, per tutto il corso del Cinquecento. Sebbene i modelli italiani si riverberino in questa immagine, vi possiamo anche trovare elementi connessi con maggior evidenza ai Viri dolorum, alle Crocefissioni e ai Cristi realizzati dai maestri fiamminghi del Rinascimento e del manierismo internazionale; la lenticolare resa della corona di spine e dell’aureola a punte dorate ricordano, di fatto, i modelli cinquecenteschi realizzate nelle Fiandre. La contaminazione con l’arte italiana e veneta in particolar modo si possono ricondurre ai viaggi condotti da artisti fiamminghi in Italia, fra cui si possono citare Pieter Aertsen, Frans Floris, Jan van Scorel e Anthonis Moor. Il supporto in rame era tipicamente utilizzato dagli artisti fiamminghi, i quali riuscivano a sfruttarne al meglio le caratteristiche per conferire alle proprie opere quei valori formali tipici dell’arte fiamminga: lucidità, minuziosità dei dettagli, superfici smaltate, freschezza della pennellata, piacevolezza formale e cromatica. La fluidità del colore, steso con pennellate più larghe e avvolgenti, non compromette la resa dei particolari, come i panneggi, i tratti del volto, i capelli e la barba, tutti delicatamente restituiti con un lieve chiaroscuro, capace di rendere la scena solenne ma non drammatica e dolorosa come quelle che si ritrovano nei Primitivi fiamminghi. Risulta dunque un’opera ben conscia della tradizione, ma al contempo stilisticamente connessa a supporto e tecniche nuove, più vicine alla fine del Cinquecento e legate alle esperienze artistiche internazionali ed estere.