Madonna che allatta il Bambino
Olio su tavola, cm 27,5x22
La dimensione soffusamente raccolta e intima suggerita dal presente dipinto sottolinea il carattere certamente privato della commessa del dipinto. L’opera, una Madonna Lactans dalla forte spinta intimista datata attorno alla metà del Settecento, presenta pennellate morbide e materiche, che paiono mostrare le eredità della cultura veneta e di quella mantovana del principio del Settecento. Tra le raffigurazioni della maternità di Maria espresse dall’arte pittorica, un rilievo tutto particolare assume l’iconografia della Madonna del latte a sancire la realtà della Madre di Dio e l’efficacia della sua intercessione. Che le sue origini si collochino nei primi secoli del cristianesimo in Egitto, presso i copti, oppure a Roma – secondo linee di studio per ora discordanti –, l’iconografia della Galaktotrofousa (dal greco “colei che nutre con il latte”) o Virgo Lactans si diffonde soprattutto a partire dal secolo XIII e conosce una straordinaria proliferazione Ticino tra i secoli XV e XVI. In seguito ad una fase di censura durante gli anni della Controriforma, l’iconografia riscopre una nuova popolarità a partire dal Settecento, così come dimostrato anche da questo dipinto. Il latte di Maria diviene anche segno e pegno delle grazie che ella ottiene da Cristo per gli uomini, in un suggestivo parallelismo tra il sangue e il latte, tra le piaghe del Figlio e il seno della Madre.
L’equilibrio compositivo, la qualità del disegno e la consistenza plastica dei panneggi permettono di avvicinare la mano del pittore all’ambito di Giambettino Cignaroli (1706-1770), pittore veronese, operante in differenti città del nord Italia e conscio degli insegnamenti di Bazzani e dei membri della scuola mantovana: egli subì, oltre alle già citate suggestioni di derivazione bazzanesca, l’influsso di Ludovico Dorigny, Antonio Balestra e Giovan Battista Tiepolo e nel periodo medio della propria attività studiò la produzione del Veronese e di Tiziano. Osservando il dipinto in questione si nota il tono composto e decoroso, estraneo ad eccessivi virtuosismi, finanche equilibrato. Riallacciandosi alla tradizione barocca, il tema sacro è trattato con un patetismo addolcito e persuasivo, nel quale tutto risulta ben calibrato e dosato. L’ovale con la Vergine che allatta il Bambino può essere presumibilmente avvicinato anche all’attività di Giovanni Giacomo Figari (1739-1809), allievo del Cignaroli ed astro nascente nell’ambito bresciano-veronese della seconda metà del XVIII secolo. Poco o niente si conosce degli inizi del Figari, anche se troviamo opere in ambiente mantovano ma soprattutto in quello del Trentino sud-occidentale. Degna di nota è l’emblematica tela raffigurante la Lavanda dei piedi (nella chiesa di San Floriano a Storo, Trento) la quale è dimostrazione del salto di qualità che il pittore fece spostandosi da Mantova – città dove assorbì elementi derivanti dalla diretta osservazione delle opere del Bazzani – a territori più a nord. Poco distante da Storo, anche a Tavodo (provincia di Trento), troviamo opere come la grande pala d’altare raffigurante l’Assunzione della Vergine, dove è chiara la strada neoclassica che stava per intraprendere il Figari, il quale inizia a scostarsi dallo stile di opere come quelle prese in considerazione, che analizzando gli spostamenti del pittore e le sue svolte stilistiche, andrebbero collocante intorno al 1765.
Chiaro è che, nel nostro dipinto, il marcato chiaroscuro che contraddistingue le opere di Bazzani e dei membri della sua fiorente bottega a Mantova si incontra con una pennellata rapida, sciolta, indefinita e materica che guarda alle esperienze tiepolesche ma anche alle grandi innovazioni introdotte in ambito pittorico dai grandi maestri veneziani tra il Cinquecento ed il Seicento.