Scuola dell’Italia centrale, XVII secolo
Sant’Onofrio penitente
Olio su tela, cm 110 x 75
Con cornice, cm 120 x 83
Il dipinto allegato, raffigurante Sant'Onofrio penitente, è un eccellente esempio della pittura del Barocco italiano, avvicinandosi stilisticamente ai modi dell’Italia centrale, più verosimilmente quella napoletana del Seicento, fortemente influenzata dal Caravaggismo e dalla successiva arte di Jusepe de Ribera. Il soggetto, Sant'Onofrio eremita, è presentato in un'ambientazione rocciosa e desolata, tipica dei dipinti che esaltano il tema della penitenza e della vita ascetica. Onofrio, un eremita egiziano vissuto nel IV secolo, è qui ritratto secondo la sua iconografia tradizionale: un anziano dalla lunga barba e capelli bianchi, quasi completamente nudo (coperto solo da un perizoma di foglie), in ginocchio, con le mani giunte in preghiera o in un gesto di profonda implorazione rivolta verso l'alto. L'opera è caratterizzata da un forte realismo ed un intenso chiaroscuro, elementi che la identificano distintamente nell'ambito dell'arte barocca di matrice caravaggesca. La luce, lungi dall'essere diffusa, è drammaticamente concentrata sul corpo scheletrico del santo, mettendone in risalto la muscolatura, le vene in evidenza e la pelle scabra, come muti testimoni della sua vita di privazioni. Questa resa quasi brutale della verità fisica, esaltata dalla corrente artistica del Tenebrismo, costituiva uno strumento potente per suscitare la pietas e la partecipazione emotiva dello spettatore al dramma spirituale. Dal punto di vista della composizione, l'attenzione è sapientemente focalizzata sul santo. Accanto a lui, su un gradino di roccia, si riconoscono alcuni attributi iconografici che ne arricchiscono il significato spirituale, come libro aperto, simbolo delle Sacre Scritture o della meditazione, ed una croce ed una corona del Rosario visibile sul masso vicino al gomito del santo, ad indicare la sua profonda spiritualità e dedizione. Il paesaggio circostante, appena accennato in alto a destra con un cielo agitato, non distrae ma funge piuttosto da mero palcoscenico per esaltare la solitudine e il dramma interiore di Onofrio. L'espressione del santo, infine, con gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta, trasmette con forza un senso di estasi mistica che si fonde con la profonda fatica e sofferenza della sua esistenza eremitica. Gli aspetti stilistici dell'opera orientano verso le tendenze artistiche dell’Italia centrale. Questi pittori prediligevano la scelta di un soggetto di forte impatto emotivo e veristico (spesso figure di santi eremiti o filosofi anziani), reso attraverso una pennellata robusta e l'uso prevalente di colori terrosi e cupi (marrone, ocra, grigio scuro) che costruiscono il fondo roccioso. Tale approccio enfatizzava la carne invecchiata e sofferente come simbolo tangibile della condizione umana e della mortificazione ascetica. Jusepe de Ribera stesso realizzerà un Sant'Onofrio (c. 1625, conservato a Palazzo Barberini, Roma), che presenta un'analoga attenzione alla resa delle carni e alla drammaticità dell'espressione.





































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